4) Lo spazio-tempo discontinuo

Lo spazio-tempo discontinuo e discreto.

Verso la fine del 1986, due anni dopo avere pubblicato di mia mano il mio primo libro Il Campo Unificato, mi accadde di rileggere Storia del Concetto di Massa, di Max Jammer.

Da una sottolineatura fatta durante la prima lettura, quindici anni prima, mi accorsi che fin da allora avrei dovuto cercare nella biblioteca della facoltà di fisica un articolo che un certo Alfred Schild aveva pubblicato su «Physical Review» del 1948, ma poi evidentemente me ne ero dimenticato.

L’articolo avrebbe trattato della costruzione matematica
di un modello di spazio-tempo discontinuo e discreto,
che ammetteva un numero estremamente grande
delle normali trasformazioni di Lorentz.

In quel periodo ero costantemente preoccupato dall’incombenza, che continuavo a procrastinare dato che me la prefiguravo gravosissima, di adeguare una struttura matematica relativistica alla Teoria Ondulatoria del Campo.

Il supporto matematico della Teoria avrebbe dovuto essere coerente con le esigenze della Relatività particolare e generale. In più avrebbe dovuto descrivere nei dettagli il modello di spazio-tempo discontinuo e discreto che avevo illustrato, solo in modo intuitivo, nel libro Il Campo Unificato del 1984.

Il fatto che il modello dello spazio-tempo di Schild ammettesse un numero estremamente grande di trasformazioni di Lorentz, mi faceva supporre che dovesse essere in qualche misura coerente con la Relatività. Pensai quindi che fosse certamente produttivo conoscerlo, prima di avventurarmi nella ricerca matematica.

Per chi volesse consultare le fonti:

  • A. Schild, “Discrete space-time and Integral Lorentz Transformations.”In “Physical Review,” 73, (1948), pp 414-415.”
  • A, Shild. In “Canadian Journal of Mathematics” 1(1949) pp. 29-47.

Fu una rivelazione insperata fin dal primo istante. D’istinto ci vidi dentro la descrizione completa delle onde che volevo giustificare. Trovai subito dopo l’intera trattazione in un altro articolo più completo dello stesso Schild su «Canadian Journal of Mathematics» del 1949, verificai che sembrava calzare come un guanto al mio modello di spazio-tempo discreto .

Era emozionante constatare, dopo quasi quarant’anni dalla sua costruzione, come si potesse trovare una perfetta applicazione del modello elaborato da Schild nelle necessità di giustificazione matematica della nuova teoria.

Sembrava una tale incredibile coincidenza.

Il buffo , o il tragico, era che il suo autore non aveva creduto che sarebbe mai venuto il tempo che la sua costruzione matematica avrebbe trovato un’interpretazione fisica. Mentre io ci vedevo invece il modo di costruirci la base di tutta una nuova fisica. 

Come era arrivato Alfred Schild a costruire un tale modello senza una intrinseca necessità di applicazione a qualcosa di reale? O perlomeno a un qualcosa che avesse un qualche interesse probabile?  

Forse egli si era trovato sulla scia dei tentativi messi in atto da Einstein per l’unificazione della gravitazione e dell’elettromagnetismo. Oppure, come molti altri, egli era alla ricerca di possibili varianti per una interpretazione relativistica della struttura dello spazio-tempo.

Comunque fosse, intorno agli anni Quaranta venne di moda in alcuni ambienti matematici fare ipotesi intorno all’esistenza di uno spazio-tempo discontinuo e discreto. Nel quale “l’intervallo relativistico”, inteso quale limite di misura dello spazio-tempo continuo della Relatività, non fosse più un infinitesimo, ma venisse sostituito da un intervallo discreto, di lunghezza e durata finite.

Sulla base di quest’ipotesi, si tentava l’elaborazione di strutture matematiche che supportassero un modello di spazio-tempo reticolare, immaginando che tale spazio-tempo fosse costituito da moduli discreti che s’identificavano nei nuovi intervalli, del tipo di quelli descritti dalla Relatività Generale.

Ma diversamente da quelli, questi intervalli non fossero da considerare continui e infinitesimi, ma discontinui e discreti.

Alfred Schild fu il creatore di uno di questi spazio-tempo reticolari. Ed il suo spazio-tempo discreto sembrava avere superato in coerenza tutti quelli che l’avevano preceduto.

Mantenendosi aderente alla Relatività, egli utilizzava la matematica dei tensori e degli spinori, unitamente ad un’algebra degli interi gaussiani, per ottenere uno spazio-tempo matematicamente coerente con se stesso. Uno spazio-tempo autosufficiente e dotato di tutte le caratteristiche necessarie a giustificare l’ipotesi di partenza: la discontinuità.

Così egli costruì un modello di spazio-tempo che, pur essendo discreto e discontinuo, risultava matematicamente omogeneo, isotropo, e denso, ed era descrivibile secondo tutti i dettami della Relatività. Inoltre era dotato di tutte le caratteristiche indispensabili per uno spazio-tempo possibile, avendo molte altre buone proprietà che ne garantivano l’autocoerenza logica e matematica.

Era infinito, ma tuttavia discreto. E tutte le sue caratteristiche erano definibili geometricamente con equazioni “diofantee”, (equazioni alle differenze finite in cui le quantità sono numerabili solo da numeri interi).

Pur essendo soddisfacente dal punto di vista strettamente matematico, a giudizio dello stesso Schild, aveva però un grosso difetto. Il suo spazio-tempo era molto vicino a dover essere considerato una elucubrazione esclusivamente matematica.

Perché una delle sue caratteristiche più essenziali sembrava essere in contrasto con la realtà fisica, dato che al suo interno erano possibili “solo” velocità molto vicine alla velocità della luce.

Nei suoi due articoli Schild disperava che sarebbe mai venuto il giorno che la sua creazione avrebbe potuto avere un’interpretazione fisica.

Perché pensando a corpi o particelle in moto tra i punti evento del reticolo che descriveva il suo spazio-tempo discontinuo, si era costretti ad attribuire loro velocità impossibili, troppo vicine alla velocità della luce “c”.

Secondo Schild era un ben riuscito giocattolo matematico al cui interno tutto risultava coerente e razionale, ma niente di più. Sembrava non ci potessero essere paralleli possibili con la realtà, se i corpi che si potevano muovere nello spazio-tempo discreto potevano avere solo velocità prossime alla velocità della luce.

Era proprio il contrario della realtà fisica che conosciamo. Nel mondo della nostra esperienza infatti i corpi hanno l’impossibilità di viaggiare alla velocità della luce, ed una grande difficoltà ad avvicinarsi ad essa, che appunto viene considerata dalla Relatività una velocità limite.

Schild mancò l’occasione più grande della sua vita. Egli pensava infatti ad una identificazione diretta del suo spazio-tempo discreto con quello della normale rappresentazione fisica, dove i corpi agiscono come attori principali sul palcoscenico dello spazio-tempo.

Non gli venne in mente che nel reticolo potessero avere un moto razionale
“solo le perturbazioni dello stato del reticolo””.

Né fu in grado di azzardare l’ipotesi che le velocità così vicine alla velocità della luce, di cui paventava l’interpretazione fisica, potessero essere identificate come le velocità di propagazione delle sue stesse perturbazioni.

Schild aveva scoperto matematicamente un Etere possibile e razionale,
ma non fu in grado di riconoscerlo come modello fisico.

Egli non riuscì a capire che il suo spazio-tempo reticolare, che era dotato matematicamente di una speciale compressibilità ed elasticità della struttura, avrebbe potuto permettere la trasmissione di una perturbazione delle proprietà della sua stessa struttura.

Queste perturbazioni andavano a modificare l’insieme delle proprietà che costituivano appunto lo “stato” di questa sua struttura.
Muovendosi da un “punto evento” ( il luogo dove accade qualcosa ) ad un altro qualsiasi punto evento del reticolo, andavano a perturbare zone diverse del reticolo.

Schild non era riuscito a vedere che le uniche entità, che potevano avere un moto al suo interno, erano appunto le sue variazioni di struttura.

Né era riuscito ad immaginare che esse potevano spostarsi come perturbazioni, o meglio, come ” onde ” con velocità che, pur potendo variare localmente in un certo piccolo intervallo di velocità, erano tutte molto vicine a “c”.

Alla luce di questa mancata scoperta viene naturale seguire il pensiero dell’Einstein giovane, interpretando liberamente ciò che scriveva a Klein:

…la matematica non è certamente un sicuro strumento di ricerca fisica, se non si ha in mente un modello fisico a cui applicarla .

Il fatto straordinario di questa vicenda, è che proprio quelle proprietà che imbarazzavano Schild risultano indispensabili e preziosissime per poter interpretare la sua invenzione come un modello reale di uno spazio-tempo possibile.

Il tutto forniva un’immagine della realtà fisica dello spazio-tempo che era coerente con l’ipotesi dell’esistenza di un Etere razionale identificabile con lo spazio-tempo stesso.

Per giunta, esso presenta una qualità, ai miei occhi assolutamente indispensabile:

nonostante la sua complessità matematica,
il modello risulta straordinariamente comprensibile e facilmente visualizzabile.

Per avvicinarvi alla realtà del reticolo, immaginate di sovrapporre una serie di reti elastiche, aventi maglie tutte uguali della stessa misura.
Legate poi con tratti dello stesso filo elastico, di lunghezza pari alle maglie, ogni nodo della rete superiore con quello corrispondente inferiore.

Avrete ottenuto una ideale rete elastica tridimensionale di modulo costante.

Se immaginate di tirare o di comprimere una maglia della rete elastica, e poi di lasciarla andare, avrete dato inizio ad una vibrazione che si trasmetterà, probabilmente come un’onda.

I parametri fisici di tali onde dipenderanno dai fattori di elasticità della rete.
Queste onde trasmetteranno la perturbazione di struttura a sezioni sempre più lontane della rete.

Se smaterializziamo ora nella nostra fantasia rappresentativa la rete fisica fatta di filo elastico, e sostituiamo la sua immagine con un sistema astratto di misura, tridimensionale e immateriale, fatto di moduli unitari interi di una misura lineare di base discreta, avremo quello che in analisi matematica viene chiamato “uno spazio metrico discreto”.

 

Figura 1. Variazioni della geometria del reticolo dello spazio-tempo discreto.

Il reticolo è composto da elementi modulari di una distanza discreta L, che nel loro strutturarsi costituiscono celle di spazio che delimitano un volume discreto.

La conformazione della cella può variare in funzione del variare dei quanti di tempo T. Le superfici di perturbazione si spostano nel reticolo passando da una faccia di una cella all’altra in un quanto di tempo T.

Facciamo in modo che esso caratterizzi tutto lo spazio “vuoto” che vi riesce di immaginare, e assumiamo che non esista nient’altro nell’Universo che la vostra coscienza di essere e l’esistenza di questo spazio.

Di qui partiamo alla ricerca del nostro ruolo di osservatori.

Cercheremo di scoprire, attraverso ipotesi e tentativi di falsificazione, come possano essere “costruiti” i modelli della nostra esperienza. Come possano esistere materia, radiazione e campi, unitamente alle leggi che ne regolano le interazioni, sulla base della sola ed unica esistenza di questo modello di spazio-tempo “etereo”.

Non senza una buona dose di autoironia sull’enormità della nostra presunzione, ci mettiamo dunque al tavolo di lavoro di un Ipotetico Creatore, che ha a disposizione “solo” uno spazio-tempo discreto di Schild.

E con questo povero materiale cerchiamo di creare l’intero Universo: con tutte le sue radiazioni, con le particelle elementari, gli atoni, le molecole, la vita, con le stelle, le galassie e gli ammassi, e utilizzando poche (e possibilmente semplici) leggi.

Il reticolo discreto di Schild

Le caratteristiche matematiche dello spazio-tempo reticolare di Schild ci dicono che esso è un reticolo cubico. Più precisamente bisognerebbe considerarlo un reticolo “ipercubico”.

Ciò significa semplicemente che esso non è solamente uno spazio tridimensionale, ma deve essere inteso come uno “spazio-tempo” le cui dimensioni sono quattro. Dove il tempo può venire matematicamente integrato in modo omogeneo alle tre dimensioni spaziali come una quarta dimensione.

Noi possiamo accedere alla sua realtà, senza lasciarci impressionare dal mistero della “quarta dimensione”, se pensiamo ad esso come ad un reticolo cubico tridimensionale, in cui il tempo più piccolo che noi possiamo pensare è il Quanto di tempo discreto T.

Dove il Quanto T è descritto come la durata del passaggio di una perturbazione tra i due estremi ( i nodi, punti evento ) di una maglia del reticolo, che ha la lunghezza più piccola possibile, pari al quanto discreto di lunghezza L.

La lunghezza elementare L, viene intesa dunque come la più piccola misura di spazio, non nulla, tra i punti evento del reticolo ( i soli punti identificabili del reticolo dove accade qualcosa ). Così che ogni lunghezza sia sempre e comunque costituita da un numero intero di quanti lineari L.

Similmente, il tempo elementare T, viene inteso come la più piccola misura di tempo non nulla tra i punti evento del reticolo. Mentre ogni altra misura di tempo è costituita da un numero intero n di quanti di tempo T.

Nel reticolo dello spazio-tempo discreto, non può accadere nient’altro che non sia una variazione locale dello stato di uniformità temporale del reticolo. Questa variazione può spostarsi nel reticolo come una perturbazione dello “stato” del reticolo stesso, con velocità che possono essere prossime, o al massimo uguali a 300.000 chilometri al secondo.

Il nostro scopo, nella fondazione della nuova fisica, sarà quello di descrivere quelle variazioni del reticolo dello spazio-tempo discreto di Schild che, una volta organizzate secondo certi precisi modelli geometrici, assumono e descrivono tutte le caratteristiche proprietà che noi attribuiamo alle categorie di base della nostra esperienza fisica: corpi, radiazioni e campi.

In ciò niente di troppo nuovo sotto il Sole.

Come riporta Jammer nel libro prima citato: già nel 1876 William Kingdon Clifford,
( che era stato il traduttore inglese degli scritti del matematico tedesco Herman Riemann, che nel 1850 per primo aveva studiato una possibile struttura non euclidea dello spazio ), pubblicò il saggio: On the Space Theory of Matter, in cui sostenne il progetto audace di dimostrare l’identità ultima tra spazio e materia.

Lo spazio, a modo di vedere di Clifford, non era soltanto un palcoscenico dove avvengono gli eventi fisici; piuttosto esso avrebbe dovuto essere inteso come il materiale costruttivo e unico della realtà fisica.

“Nel mondo fisico non ha luogo null’altro che questa variazione, della curvatura dello spazio”.

Dice Jammer:
Clifford non era tuttavia in grado di portare a compimento il suo ambizioso programma, e in particolare non poteva interpretare il concetto di massa in termini di considerazioni puramente spaziali o geometriche.

Noi invece non nascondiamo questa ambizione, dato che crediamo ora di avere la possibilità di interpretare la massa in termini di considerazioni puramente geometriche. Pensiamo quindi di condurre in porto il programma di Clifford, per quei tempi impossibile da realizzare.

A tale scopo, dobbiamo cercare di capire la principale caratteristica che fa dello spazio-tempo discreto di Schild il migliore candidato per assumere il ruolo dell’etere, nella nuova fisica che deriva dalla Teoria Ondulatoria del Campo.

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