9 ) La Quinta Interazione repulsiva Antigravitazionale

Il primo a supporre che nell’Universo esistesse una interazione repulsiva di equilibrio che si opporrebbe alla forza di gravità fu Einstein.

Egli ricercava una comprensione dei fenomeni cosmici nell’ambito della Relatività Generale. Così tentando di porre le basi di una comprensione dello stato dell’Universo, propose l’introduzione di un termine limitativo alla concentrazione, a cui le masse sarebbero state inevitabilmente sottoposte dall’esistenza del “solo” effetto gravitazionale. Suppose quindi che su larga scala fosse auspicabile il mantenimento di una densità di materia costante nell’Universo.

A questo scopo oppose alla forza di gravità, che avrebbe portato in tempi brevi all’aumento incontrollabile della densità di massa dell’Universo, una forza antagonista repulsiva che la equilibrasse.

Introdusse quindi nella Relatività Generale un’ipotesi che prevedeva l’esistenza di un parametro che avrebbe impedito la concentrazione dei corpi dell’Universo per effetto della sola forza gravitazionale: la cosiddetta “costante cosmologica λ”.

Il modello d’Universo che ne derivava fu chiamato, con una definizione infelice, “l’Universo statico di Einstein”. Il fatto è che le condizioni da lui poste portavano ad un Universo stabile ma non necessariamente statico.

La storia di questo tentativo è densa di equivoci e di misteri.

Appena poco tempo dopo l’introduzione nella Relatività Generale della costante cosmologica, Hubble scoprì che la luce proveniente dalle galassie lontane aveva uno spettro spostato verso il rosso, come se fosse stata emessa da una sorgente che si allontanava. Così sembrava che per effetto del decadimento Doppler questo ci costringesse all’osservazione di una maggiore lunghezza d’onda della luce dalle Galassie lontane.

Un tale decadimento della luce delle galassie sembrava presupporre un sistematico movimento di espansione delle galassie stesse. Sembrava conseguente dedurne che l’Universo non era da considerarsi statico, ma in costante espansione. E questo conduceva ad una palese falsificazione del modello dell’Universo “statico” di Einstein.

Dopo qualche tempo Einstein abbandonò, molto stranamente, il modello che derivava dalla costante cosmologica, senza tentare di difenderlo in alcun modo. Qualcuno ha riportato che egli arrivò a dire che il tentativo d’introdurla nella Relatività Generale era stato “il suo più grande errore”.

Sarebbe utile verificare se “veramente”
erano parole di Einstein.


La stranezza sta nel fatto che egli era uno straordinario vulcano di idee, e non si peritava affatto di sfornare a getto continuo tentativi di teorie che la settimana seguente smentiva.  Una volta che glielo si contestava, disse che lo faceva per far pensare un poco anche gli altri.

Così sembrava alquanto strano che non avesse combattuto nemmeno la più piccola scaramuccia per far sopravvivere la sua costante cosmologica. Eppure sarebbe bastato così poco per adattarla alle rilevazioni sperimentali della fuga delle galassie.

Sarebbe bastato che il suo valore fosse più alto di quello necessario a stabilire l’equilibrio con la forza gravitazionale, abbandonando l’idea della densità costante. Oppure, mantenendo l’idea della costanza della densità, sarebbe bastato ammettere l’esistenza di un qualche fenomeno di ripristino della materia che la mantenesse costante.

(Come è stato fatto poi dalla Teoria dello Stato Stazionario, di Hoyle, di cui parleremo in seguito).

Si trattava di proteggere l’Universo da una catastrofica concentrazione di massa, che sarebbe derivata dalla presenza della sola gravitazione come regolatore del comportamento dei corpi macroscopici.

Egli aveva una precisa idea riguardo all’impossibilità della materia di concentrarsi all’infinito, e più di una volta aveva contestato che potesse esistere il famoso “raggio di Schwarzschild”.

Secondo i calcoli di Schwarzschild, derivati da un’estrapolazione estrema ed indebita della Relatività Generale, questo raggio avrebbe descritto il raggio minimo di concentrazione di una massa, al disotto del quale, per effetto della forza gravitazionale, una data massa sarebbe collassata su se stessa.

Il collasso sarebbe proseguito poi verso una concentrazione infinita di massa. Realizzando uno di quei fenomeni ipotetici, considerati “a torto” teoricamente possibili, che Weinberg avrebbe poi battezzato Buchi Neri.

In un’altra occasione Einstein fu ancora più esplicito:

Nessuna massa poteva collassare all’infinito, perché se così fosse le sue parti raggiungerebbero velocità simili alla velocità della luce, e ciò è fisicamente impossibile.

In un articolo del 1939 ancora scriveva:


La singolarità di Schwarzchild (per il raggio della massa)
  r = 2GM /c2   non si presenta in natura  per la ragione che la materia non può essere concentrata ad arbitrio […] perché altrimenti le particelle costitutive raggiungerebbero la velocità della luce.


Una volta per tutte bisogna ribadire che l’ipotesi dell’esistenza di questi fenomeni estremi di concentrazione della massa nasce del tutto priva di fondamento relativistico. Al contrario di quanto dichiarano coloro che ne studiano da decine d’anni le possibili varianti ed evoluzioni.

Ciò però non servì a fermare le conclusioni estreme di Oppenheimer e Snyder, che due mesi dopo pubblicarono un articolo sui possibili “collassi stellari”. E questo articolo fece poi da capostipite alle infinite elucubrazioni sui buchi neri, che da allora fino ad oggi hanno fornito materia di accanite indagini teoriche su un’infinità di ipotetici fenomeni dello stesso genere.

In realtà l’impossibilità per la materia di raggiungere la velocità della luce era l’argomento chiave che avrebbe dovuto chiudere la strada alle considerazioni, derivabili da estrapolazioni matematiche, sui possibili collassi gravitazionali. Ma al momento cruciale, per poter opporre un preciso veto alle elucubrazioni estreme degli astrofisici, nemmeno per Einstein era possibile provarlo.

Né egli poteva portare argomentazioni logiche che andassero al di là di una stretta osservanza delle condizioni relativistiche per le masse, o invocassero il limite della velocità della luce quale argomento euristico per la spiegazione dell’impossibilità della concentrazione delle masse all’infinito.

Sta di fatto che gli astrofisici di allora non gli diedero retta, e partirono per la tangente verso gli immaginari e improbabili buchi neri.

Ora però abbiamo molte più possibilità di quelle che aveva Einstein in quel particolare momento. Noi possiamo utilizzare le argomentazioni della Teoria Ondulatoria del Campo, in unione alla quantizzazione dello spazio-tempo, per verificare che le risposte da dare alle domande chiave della questione confortano l’infinita fiducia che Einstein riponeva nel postulato che la luce fosse una velocità limite.

Mentre ora possiamo domandarci, con cognizione di causa, quali siano le vere ragioni dell’invalicabilità della velocità della luce da parte di una massa, al di là del semplice postulato elementare che la luce sia una velocità limite.

Sotto il condizionamento della Teoria Ondulatoria del Campo poniamoci la domanda chiave:

 È possibile per una massa in moto raggiungere la velocità della luce?

Questo, nei termini ondulatori equivale a chiedersi: è possibile che la sorgente d’onde-particella raggiunga la velocità delle onde che produce?

 Se questo fosse possibile vorrebbe dire che la sorgente d’onde produce onde le cui superfici d’onda si sovrappongono per effetto Doppler l’una all’altra, e che quindi avrebbero una lunghezza d’onda nulla.

Certamente questo non può accadere nella Teoria Ondulatoria del Campo.

Per tutta la struttura dello spazio tempo discreto, e della teoria che la supporta, non ha senso parlare di una massa di lunghezza d’onda nulla, così come non dovrebbe avere alcun senso in qualsiasi altra teoria fisica parlare di massa infinita.

Sarebbe illogico ammetterlo dato che l’aumento della massa relativistica con la velocità porterebbe la massa in moto ad avere una massa infinita. Inoltre paradossalmente, la massa sarebbe nulla proprio nella direzione del moto, dato che anche per la Teoria Ondulatoria classica di de Broglie, in tale direzione le sue onde avrebbero lunghezza d’onda nulla per Effetto DOPPLER

Le lunghezze d’onda si contrarrebbero sempre di più, per effetto Doppler, davanti al corpo lanciato a velocità sempre più vicine alla velocità della sue onde, fino al punto di sovrapporre le une alle altre, annullando la lunghezza d’onda nella direzione della velocità.

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Figura 57. La sorgente d’onda che si muovesse alla stessa velocità delle sue onde costringerebbe le sue onde a sovrapporsi l’una sull’altra davanti ad essa, annullando a zero la lunghezza d’onda Doppler davanti alla massa.

((La figura nella realtà non dovrebbe essere oblunga, ma sferica)).

Le domande, pur sembrando senza speranza, trovano ora una comune risposta logica nella discretezza dello spazio-tempo e nella relativa quantizzazione della lunghezza.

Per come abbiamo costruito il nostro Universo geometrico, e dati i suoi modelli geometrico-ondulatori per le masse “certamente nessuna onda proveniente da una sorgente d’onde-massa potrà mai avere una lunghezza d’onda inferiore alla lunghezza discreta L.”

Quindi al limite una lunghezza d’onda potrebbe essere al minimo: 

λ minima  = L

Né potrà esistere una lunghezza d’onda Doppler di lunghezza inferiore. Né tantomeno si potranno verificare lunghezze d’onda nulle che descrivano la massa.

Perciò nessuna massa-sorgente d’onde potrà  mai raggiungere la velocità delle sue onde c.

Questo risponde definitivamente alla questione sulla possibilità dell’esistenza dei collassi infiniti di massa. E quindi non potranno mai esistere i Buchi Neri, che rimarranno un’ipotesi inverificata ed inverificabile per principio.

Ma il tipo di risposta che abbiamo dato ci porta a ulteriori domande che ci conducono su una strada molto promettente, e aperta a considerazioni del tutto inedite e straordinarie.

L’elettrone in quiete è la particella stabile di massa minore esistente in natura, mentre il protone ha una massa 1836 volte più grande. Ne discende che il protone potrà avere una velocità limite necessariamente minore di quella dell’elettrone. Infatti la lunghezza d’onda di quiete del protone dista di meno da L di quanto ne disti la lunghezza d’onda dell’elettrone.

Quando la sua velocità aumenta, la sua lunghezza d’onda Doppler emessa nel senso del moto, dovendo diminuire progressivamente, arriverà prima alla sua lunghezza  limite quantizzata,λmin = L, che più di così non potrà mai ulteriormente accorciarsi.

E quindi il protone arriverà prima dell’elettrone alla sua velocità limite. Perciò la velocità limite del protone sarà necessariamente più piccola della velocità limite dell’elettrone.

Via via che consideriamo masse sempre maggiori, che emettono onde elementari la cui lunghezza d’onda è sempre più piccola, dovremo verificare come la loro possibile velocità limite sia sempre più piccola, sempre più lontana dalla velocità della luce.

Quando spingiamo il ragionamento alle sue estreme conseguenze avremo che: una “maximassa M” tanto grande da avere una lunghezza d’onda di quiete pari alla lunghezza limite L, non potrà mai avere alcuna velocità in alcuna direzione, e sarà costretta per sempre alla quiete.

In quiete rispetto a cosa, o a chi?  Si sa, dalla Relatività, che un sistema di riferimento assoluto non esiste: è evidente perciò che solo rispetto ad altri osservatori esiste la quiete della maximassa.

Quindi, dato che l’effetto Doppler esiste comunque nei due sensi, sia quando una sorgente d’onde si muove verso l’osservatore, sia quando l’osservatore si muove verso la sorgente d’onde, per nessun osservatore reale materiale, e quindi dotato di “massa”, sarà mai possibile avere una qualunque velocità di avvicinamento alla maximassa.

Le onde di massa dell’osservatore non potranno mai sommarsi a quelle della maximassa. Perché queste hanno già raggiunto la lunghezza limite, e nessun’altra superficie d’onda può esistere tra di esse.

Ne consegue che nessuna massa potrà mai essere attratta dalla maximassa.  Non solo attorno alla maximassa la gravità è nulla, ma vicino ad essa nessun’altra massa, né emittente d’onda può esistere. Essa è l’unico vero sistema isolato esistente.

 Quando poi consideriamo masse un poco inferiori alla maximassa possiamo ancora pensare che piccole masse possano esservi attratte. Ma solo da una forza complessiva che, tra repulsione ed attrazione sia estremamente debole, e una tale massa attrarrebbe comunque con maggior forza le piccole masse piuttosto che masse più grandi

Inoltre essa dovrebbe attrarre più facilmente masse meno dense piuttosto che masse più dense. Al limite, un tale effetto di forza gravitazionale differenziata dovrebbe esistere in ogni caso, per qualsiasi massa, anche per una massa come quella della Terra.

Sulla quale ci sarebbe quindi una differenza nell’attrazione gravitazionale di masse di diverso valore. Più grande la massa, maggiore il piccolo effetto repulsivo che si oppone all’effetto attrattivo gravitazionale.

Quest’effetto potrebbe facilmente essere attribuito ad una nuova forza repulsiva, una Quinta Interazione. La cui esistenza comporterebbe la confutazione del principio di Galileo, che afferma che “tutte le masse cadono nel vuoto di un campo gravitazionale con la stessa accelerazione”.

Come ulteriore effetto si produrrebbe una differenza attrattiva di masse con lo stesso valore, ma con un diverso raggio. Materiali con una stessa massa ma con una diversa struttura molecolare, o una diversa struttura nucleare, avrebbero pesi diversi, dato che sarebbero attratti in maniera diversa.

Qualcuno potrebbe dire a questo punto: “Piano, piano, qui stiamo sconfinando nella fantascienza: l’equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale è stata provata dagli esperimenti di Eötvos fino a ordini di grandezza estremamente grandi” (1 ∙ 108).

Oh sì, è vero, ma c’è anche di più, esperimenti più recenti hanno fornito dati ancora più precisi, dai quali risulterebbe l’equivalenza fino ad ordini di grandezza di (1,6 ∙ 1011).

Ciò non toglie che il Principio di Equivalenza tra la massa inerziale e la massa gravitazionale sia un’ipotesi, che può essere confutata dai fatti, e non un dogma assoluto, stabilito ed intoccabile.

Recentemente infatti ci sono state comunicazioni scientifiche sconvolgenti che hanno scosso il Principio di Equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale, e messo in imbarazzo tutti gli studiosi della gravitazione ed i fisici in generale.

Ephraim Fischbach ed altri suoi colleghi della Purdue University, nel gennaio del 1986, hanno comunicato in un articolo su «Physical Review» di avere trovato deviazioni sistematiche degli effetti gravitazionali misurati da Eötvos su materiali di una stessa massa ma di diversa natura.

Le deviazioni, al contrario di quanto aveva potuto valutare Eötvos stesso, indicavano l’esistenza di una leggera interazione repulsiva tra le masse, che sembrava opporsi all’attrazione gravitazionale.

I dati di Eötvos pervenutici attraverso i suoi appunti, una volta analizzati dai moderni sistemi computerizzati di analisi statistica, avevano fornito una precisa sistematicità a tutte quelle deviazioni dalla legge di equivalenza, che Eötvos credeva imputabili a difetti inevitabili del suo sistema di misura.

Questa sistematicità era stata poi messa in parallelo con altri dati considerati anomali, rilevati nelle orbite dei satelliti messi in circolazione attorno alla Terra dalla NASA.

E le sistematicità rilevate sembravano coincidere nel mostrare l’esistenza di una debole forza repulsiva, che si opponeva alla forza gravitazionale. L’annuncio ebbe in Italia e nel mondo intero un impatto iniziale clamoroso.

Il premio Nobel Carlo Rubbia, che stava partecipando ad un convegno a Roma sul concetto d’Infinito, arrivò nell’aula del congresso comunicando la notizia esplosiva che, mentre lì si stava discutendo sulla ricerca di una possibile unificazione delle quattro forze fondamentali, gli americani avevano trovato una Quinta Interazione che non poteva assolutamente essere inquadrata nelle attuali conoscenze scientifiche.

E appunto riconoscendo che la nuova interazione non aveva ancora una giustificazione nell’ambito delle teorie conosciute, già si stava tentando di trovarne la causa probabile in alcune misteriose proprietà della materia a livello nucleare.

Dopo il primo sbigottimento, sul posto, come in seguito accadde in tutto il mondo, la fisica ufficiale reagì nel solito modo: “i dati erano insufficienti, erano vecchi e inaffidabili, e forse si trattava persino di uno scherzo di cattivo gusto”.

Quando in fisica qualcosa di nuovo si presenta a disturbare la beata quiete di un quadro consolidato, la tendenza iniziale e classica è quasi sempre quella di rifiutarlo a priori, come irrilevante, ininfluente, o addirittura falso.

Ma la cosa ebbe un seguito. A Varenna l’anno seguente, in occasione dell’annuale Scuola di Cosmologia, organizzata dalla Società Italiana di Fisica, è stata resa nota la notizia di un esperimento “anti-g” elaborato da P. Thieberger dell’Università di Seattle.

In un recipiente pieno d’acqua era stata immersa una sfera cava di rame vuota. Lo spessore delle pareti ed il volume della sfera di rame erano stati scelti in modo da ottenere una sfera di rame che pesasse come un identico volume d’acqua. In tal modo la sfera poteva rimanere indifferentemente a pelo d’acqua, immersa nell’acqua o nel fondo del recipiente.

L’acqua circostante non reagiva alla presenza della sfera perché non poteva accorgersi della sua esistenza, dato che la sfera cava di rame aveva lo stesso peso di un identico volume d’acqua. Il peso e il volume della sfera di rame si opponevano in modo esatto al noto principio di Archimede, mantenendo sospesa nell’acqua la sfera di rame, come fosse composta da uno stesso volume d’acqua.

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Figura 58. Recipiente pieno d’acqua con sfera cava di rame e montagna, per una verifica sperimentale dell’esistenza dell’antigravità.

Non c’era variazione di gravità alcuna, nelle teorie correnti, che potesse produrre una qualsiasi variazione nello stato di quiete di quella sfera di rame all’interno di quell’acqua.  Tuttavia, avvicinando il recipiente pieno d’acqua alla parete a strapiombo di una montagna si dovrebbe poter verificare se esiste veramente una qualche sorta di antigravità che agisce in modo diverso su sostanze diverse.

Se l’antigravità fosse stata maggiore per il rame che per l’acqua la sfera sarebbe stata “respinta” dalla parete della montagna.

E questa è stata appunto l’osservazione di Thieberger: l’esistenza dell’antigravità, come Quinta Interazione Repulsiva, aveva avuto una ulteriore conferma sperimentale, in un nuovo esperimento.

 Senonché ci fu ancora qualcuno, partigiano sfacciato dell’ortodossia, che mise in dubbio l’esperimento, opponendo che movimenti di fluido e differenze opportune di temperatura dell’acqua avrebbero potuto causare apparenti fenomeni di movimento della sfera, e di apparente repulsione.

Era certamente più facile mettere in dubbio le capacità di un serio sperimentatore che cercare di spiegare l’esistenza di una nuova sconosciuta forza antigravitazionale. Ma costoro non pensavano che la curiosità incoercibile è ancora il pungolo e la caratteristica specifica dei fisici di razza. Un altro esperimento fu presto messo in atto da un emulo di Thieberger.

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Figura 59. Il pendolo di torsione è costruito con un anello composto da due diversi materiali, che nell’intento dell’esperimento dovrebbero reagire in modo diverso al loro avvicinamento ad una massa che non sia posta nella stessa direzione della massa gravitazionale della Terra.

Paul Boynton, professore di astronomia dell’Università di Washington costruì uno speciale pendolo di torsione, costituito da un anello formato da due diversi materiali, berillio e alluminio, sospeso ad un asse formato da un filamento sottile di quarzo. Il periodo di torsione di quel pendolo veniva normalmente ben stabilito e si verificava che esso rimaneva fisso ed invariabile.

Ma una volta avvicinato il pendolo di torsione alla parete di una montagna il suo periodo mutava in funzione di quale delle due metà dell’anello era più vicina alla parete.

La scelta dei materiali era stata fatta con l’intenzione di verificare il primo tentativo di spiegazione del comportamento anomalo della gravitazione, fatto da Fischbach con l’ipotesi che dipendesse dalla composizione dei nuclei.

Se l’ipotesi che dipendesse dalla composizione dei nuclei nei loro componenti protoni e neutroni era fondata, il periodo di rotazione del pendolo di torsione doveva cambiare.
Il periodo di oscillazione del toroide composto da due metà di materiali diversi: (berillio e alluminio), non potrebbe subire alcuna variazione secondo le teorie correnti.

Invece esso reagisce alla presenza di una massa posta in una direzione diversa da quella verticale, e disposta parallela al suo asse, in modo completamente anomalo, ma del tutto conseguente all’ipotesi che esista una forza di repulsione che si oppone alla forza gravitazionale, agendo diversamente su materiali che hanno una composizione nucleare diversa tra loro.

E a questo punto sarebbe stato interessante conoscere quali altre scappatoie potevano essere inventate dai detrattori della serietà di Thieberger, per cercare di negare l’esistenza reale del fenomeno nel nuovo esperimento. Non si conoscono ulteriori denigrazioni; forse sussurrate dai precedenti detrattori, che si sono guardati bene dal replicare pubblicamente, speranzosi che il silenzio favorisca l’oblio.

Combinando i dati dei due esperimenti con quelli derivati dall’analisi fatta al computer dei dati di Eötvos, risulterebbe dunque che l’efficacia della forza gravitazionale sarebbe maggiore per i materiali in cui si trovano nuclei atomici che contengono più neutroni, rispetto a materiali con uguale peso atomico ma con un maggior numero di protoni.

E la constatazione si fermerebbe qui in una fisica ufficiale più aperta secondo la prassi galileiana, non avendo una teoria che possa interpretare questo fatto dei neutroni.

Niente oggi, allo stato attuale dell’arte, può giustificare il come e il perché tra due nuclei diversi, composti da uno stesso numero di nucleoni, il nucleo composto da un maggior numero di protoni venga attratto dalla massa terrestre con una minor forza gravitazionale, dell’altro nucleo composto da uno stesso numero di nucleoni ma con un maggior numero di neutroni.

Per la Teoria Ondulatoria del Campo, invece, la ragione dei risultati dell’esperimento risulta evidente. La manifestazione della Quinta Forza di Repulsione per i materiali contenenti nuclei formati da un maggior numero di neutroni, è una evidente conferma che la natura cerca di evitare un’eccessiva densità di massa, persino al livello della concentrazione delle masse atomiche.

 Infatti, cosa vuol dire per due diversi nuclei avere una stessa massa, ma avere un nucleo formato da più protoni o da più neutroni ?  Vuol dire avere una diversa densità.

Infatti il nucleo formato da più protoni deve necessariamente occupare un volume più grande di quello composto con un maggior numero di neutroni. Perché in esso le cariche uguali dei protoni producono un’azione di repulsione elettrica che tende a mantenere il più distante possibile tra loro le cariche eguali dei protoni che non si trovano immediatamente adiacenti.

Considerata una distanza superiore all’unità di un Fermi:  (1 ∙ 10-15 metri), usata classicamente nell’ambito della fisica nucleare, all’interno della quale ancora agisce pienamente la forza nucleare, tutti i protoni che si trovano a distanze maggiori subiscono, perlomeno in parte, un effetto di repulsione elettrica che tende ad allontanarli gli uni dagli altri.

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Figura 60. Due nuclei atomici che sono costituiti da uno stesso numero di nucleoni, ma da un diverso numero di protoni. Nel nucleo a destra i protoni, che sono più numerosi che nel nucleo di sinistra, sono sottoposti ad una forza elettrica di repulsione che tende a mantenerli più distanti tra loro, pur essendo ancora legati dalla forza nucleare.

Invece il nucleo formato dallo stesso numero di nucleoni ma da più neutroni, che sono privi di carica, può rimanere maggiormente impaccato, e quindi più denso. Esso infatti non deve fare i conti con lo stesso numero di cariche uguali dei protoni, che incominciano a respingersi elettricamente a distanze anche di poco superiori al raggio di Fermi.

Attualmente in parecchie università sono in corso molti altri esperimenti di pesatura dinamica e statica di materiali diversi, che forniranno ulteriori dati per verificare l’effettiva esistenza della Quinta Interazione repulsiva. Sebbene si debba tristemente constatare l’abbandono dell’argomento da parte di Fischbach ed altri per le insistenti pressioni avute in campo accademico.

Ma la Teoria Ondulatoria del Campo non ha bisogno di altre conferme, i fatti sperimentali non fanno che verificare la previsione già fatta. L’esistenza di una precisa legge, derivante dalla quantizzazione dello spazio e dal Principio di Simmetria Relativa, che descrive l’esistenza di una Quinta Interazione repulsiva antigravitazionale, consegue dalle sue premesse.

Se all’epoca della sua pubblicazione nel libro Il Campo Unificato (ottobre 1984) la Teoria, per un caso fortunato e alquanto improbabile, fosse stata presa immediatamente in considerazione dal mondo scientifico, avrebbe avuto, quasi immediatamente, una clamorosa conferma. E la previsione dell’esistenza di una Quinta Interazione repulsiva, avrebbe fornito una prima prova della sua capacità descrittiva.

Come chiunque può ben immaginare, le conseguenze su scala cosmica degli effetti della Quinta Interazione repulsiva sono dirompenti. Osservatori reali materiali dovrebbero verificare che tutte le masse assumono velocità di allontanamento dalle masse prossime alla massa limite, dato che in quei casi la forza repulsiva può giungere a superare la forza gravitazionale attrattiva.

Inoltre tali velocità di allontanamento saranno tanto maggiori quanto più lontano, su scala cosmica, si trova l’osservatore, dato che ampliando l’orizzonte del suo campo di osservazione egli include un maggior numero di masse nell’osservazione.

Tutto ciò porta a conseguenze facilmente immaginabili nell’Universo, i buchi neri, e le stelle di neutroni, avrebbero ben poca probabilità di esistere, e per giustificare l’Universo in espansione non sarebbe più indispensabile ricorrere alla necessità dell’antiscientifica ipotesi del Big Bang.

Questo naturalmente sconvolge il quadro che finora ci è stato presentato da astrofisici e cosmologi. Questo distrugge decine d’anni di ricerche sui primi micro-nano-pico secondi della nascita dell’Universo dal mitico Big Bang, mentre vanifica intere vite di ricercatori spese alla ricerca dell’ipotetica struttura dei prodotti della concentrazione estrema della materia, i buchi neri.

Ma sarà ben difficile che qualcuno degli astrofisici e cosmologi la cui fama è stata accuratamente costruita, pezzo per pezzo in lunghi anni di relazioni accademiche, conferenze, articoli sulle riviste specializzate, libri di grande successo, lezioni e seminari, rinneghi una vita intera di studio e dedizione a questi argomenti, anche se dedicata alla ricerca di un fantasma inesistente.

A questo proposito dobbiamo lanciare un messaggio ad un personaggio ormai da tempo famoso, considerato il nuovo messia della cosmologia del Modello Standard.

Siamo spiacenti per lui, ma dobbiamo comunicare a Stephen Hawking che ha sicuramente vinto la scommessa scaramantica che fece, nel 1975 con l’amico Kip Thorne, per assicurarsi sulla possibilità che alla fine i buchi neri non fossero un buco nell’acqua.

Si faccia quindi pagare le quattro annualità di abbonamento alla rivista «Private Eye», (se ancora esiste) come premio di consolazione di una vita dedicata a “quello che non c’è”.   Nessuno astronomo potrà mai individuare l’esistenza di un buco nero in Cygnus X – 1, per il semplice fatto che i buchi neri non possono esistere.

 In fondo siamo veramente spiacenti, perché ci sembra proprio un tiro mancino del destino a chi si è dedicato con convinzione nella ricerca di quella che sembrava una promettente ed autentica strada verso la verità. Naturalmente non pretendiamo che egli accetti di buon grado l’annuncio ferale; lo invitiamo sul ring, per confrontare le teorie.

Tanto più che egli avrebbe da difendere anche tutto il resto delle sue teorie cosmologiche sul Big Bang.  E… “che vinca la migliore”.

Non c’è da farsi eccessive illusioni sull’efficacia di questa sfida: ma siamo comunque convinti che senza un’approfondita disamina dei vantaggi che porterebbe il nuovo quadro, è alquanto improbabile che il nuovo modello d’Universo si possa imporre d’acchito.   A meno che dall’altra parte del vallo, non ci sia veramente una mente superiore “persino a se stessa”.

L’alternativa non deve essere solamente migliore, ma se deve avere una qualche possibilità di essere presa in considerazione, deve essere schiacciante, presentandosi a risolvere proprio quei quesiti che nel Modello Standard erano irrisolvibili. Purtroppo, anche questa non è una garanzia, spesso si accettano risposte traballanti pur di rispondere, anche con le sole deboli forze del paradigma corrente, alle domande più ostiche ed impellenti della natura, e pochi sono i problemi rimasti dichiaratamente irrisolti.

(Addì 2020), Per non parlare dei Premi Nobel assegnati per  l’anno 2020 ai  benemeriti ricercatori che hanno dedicato la loro vita ai beneamati buchi neri.

Per presentare il nuovo modello cosmologico è quindi  necessario sollecitare l’esame delle conseguenze della Teoria all’interno di un quadro più vasto, nel quale nello stesso tempo siano presenti le spiegazioni delle forze di base della natura.

È necessario quindi mostrare i vantaggi di un modello ondulatorio delle particelle elementari, nel quadro di una teoria quantistica dello spazio-tempo, con tutte le implicazioni che ne derivano, e che conducono a migliori spiegazioni delle osservazioni astronomiche.

Ma ci sono molti esempi di come sia difficile far accettare una spiegazione diversa di uno stesso fenomeno, anche quando le nuove spiegazioni appaiono chiaramente più razionali ed esplicative. Soprattutto quando le vecchie spiegazioni hanno avuto il sostegno psicologico di un gruppo di potere creatore d’opinione, quale è quello che nell’attuale Modello Standard include la Meccanica Quantistica.

Diceva Eddington

L’osservazione sola non basta. Non siamo disposti a credere ai nostri occhi che allorquando ciò che ci mostrano è credibile.

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