17) La fabbrica di particelle

Una  forza  nucleare non  troppo  forte

Nella descrizione che abbiamo fatto dell’interazione gravitazionale ondulatoria, c’era un presupposto sottaciuto per amor di semplicità, che onestamente avrebbe dovuto essere invece evidenziato. Veniva presupposta l’additività delle masse derivandola tacitamente dalla Meccanica.

Infatti nel caso dei due corpi interagenti gravitazionalmente era evidente, dallo stesso disegno illustrativo, che l’additività delle onde provenienti dalla prima massa con quelle provenienti dalla seconda, dipendeva dalla distanza tra le due sorgenti d’onde.

Ci sentiamo un poco giustificati dal fatto che allora parlavamo di corpi macroscopici, e non di corpi elementari. Ma ora, per capire ciò di cui ci stiamo scusando, è necessario vedere il fenomeno nella stessa prospettiva, ma con corpi elementari.

Osserviamo quindi l’interazione tra due particelle elementari-sorgenti d’onda isolate nello spazio, per esempio due Protoni, che abbiano una distanza tra loro dell’ordine di qualche diametro della loro orbita di risonanza.

Ponendoci sulla retta su cui giace la loro distanza, con adatti corpi di prova, verifichiamo prima il valore della prima massa, e poi quello della seconda, costatando che le particelle hanno la stessa massa.

In termini ondulatori, questo vuol dire che la frequenza delle onde provenienti dalla prima particella è uguale alla frequenza delle onde che provengono dalla seconda particella.

Se ci spostiamo verso l’esterno del sistema, lungo la retta su cui giace la distanza dei due protoni, potremo verificare il passaggio di un treno d’onde composto dalle onde provenienti da entrambi i protoni.

La particella più vicina a noi sarà attraversata dalle onde provenienti dall’altra e le sue onde si mescoleranno a quelle provenienti dall’altra.

Quale lunghezza d’onda potremo verificare per le onde risultanti ?
E qui scopriamo che lunghezza d’onda verificabile dipende dalla posizione relativa delle due particelle-sorgenti d’onda.

Infatti la distanza tra le due sorgenti determina la lunghezza d’onda verificabile da un’ osservatore esterno, che consideri le due particelle ponendosi sul proseguimento della retta su cui giace la loro distanza.

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Figura 98. Il treno d’onde potrà avere una quantità di lunghezze d’onda diverse, il cui valore sarà compreso tra quella caratteristica per 1 Protone, e metà di tale lunghezza d’onda che è caratteristica di 2 Protoni.

Così nei due casi limite potremo verificare una lunghezza d’onda λp oppure λp/2 mentre nella maggioranza dei casi dovremmo poter verificare un qualsiasi valore intermedio tra i due valori limite.

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Figura 98. Due protoni a distanze diverse, ma comunque paragonabili alla lunghezza del diametro delle orbite di risonanza, mostrano che la somma delle loro masse dipende dalla distanza a cui si trovano. dato che il valore effettivo dipende direttamente dalla distanza che separa i centri delle orbite di risonanza dei due protoni.

 Questo dipende dal fatto che, se la distanza è composta dalla somma dei raggi delle rispettive orbite di risonanza, più un multiplo esatto di lunghezza d’onda, le superfici d’onda provenienti dai due protoni si sovrappongono le une alle altre.

Se invece la distanza risulta composta dalla somma dei raggi delle orbite di risonanza, più un multiplo dispari di metà della lunghezza d’onda caratteristica del protone, allora le superfici d’onda provenienti da uno dei due protoni si troveranno disposte esattamente “a metà” dello spazio tra le superfici d’onda provenienti dall’altro protone.

Nel primo caso, verificando la presenza di una lunghezza d’onda λp, corrispondente alla lunghezza d’onda caratteristica per un protone, constateremo un “difetto di massa” massimo, compatibile con l’esistenza dei due protoni, vedendo la massa di un solo protone.

Nel secondo caso non si potrebbe verificare nessun difetto di massa, ma una perfetta additività delle due masse, captando la presenza di una lunghezza d’onda λp/2, e osservando perciò una massa pari alla somma delle masse dei 2 protoni.

Nei casi intermedi, per distanze comprese tra i due valori limite, si potranno verificare un certo numero di possibili difetti di massa, secondo che la distanza considerata sia più vicina all’uno che all’altro valore.

Perché un certo numero? Perché le possibili posizioni di collocazione tra le superfici d’onda delle onde provenienti dai due protoni non sono infinite. La lunghezza d’onda è infatti una distanza, e quantisticamente abbiamo assunto che ogni distanza deve essere composta da un numero finito di quanti lineari L.

Quindi il numero delle possibili collocazioni di una superficie d’onda nello spazio tra due altre superfici d’onda deve risultare uguale al numero “finito” dei quanti lineari ” L ” in cui è divisibile la distanza tra le stesse superfici d’onda.

Di conseguenza l’accoppiamento tra due protoni viene sottoposto alle condizioni quantiche dimensionali, e queste limitano i possibili valori del difetto di massa secondo un certo numero di valori.

Nella realtà sperimentale quando un protone e un neutrone si accoppiano, si verifica nella formazione del deutone un ben preciso valore del difetto di massa.

Quindi, proseguendo nella nostra descrizione alternativa,  saremo costretti a cercare un qualche sorta di meccanismo di interazione tra le due particelle che, nella somma delle masse, faccia intervenire un qualche parametro che ne limiti la scelta.

Così noi poteremmo scegliere tra i tanti, “ma in numero finito”, valori possibili per la collocazione delle rispettive superfici d’onda tra loro.

Sappiamo che il Deutone deve possedere delle dimensioni ben definite, e perciò sembra abbastanza logico pensare che i suoi componenti stiano tra loro ad una distanza fissa, o comunque variabile entro termini ben precisi.

Già si conoscono in fisica esempi di sistemi stabili che hanno tra loro una distanza, non fissa ma ben determinata: gli atomi in aggregazione molecolare stanno uniti, con oscillazione della distanza, ma entro termini ben precisi.

Nel Deutone le due particelle componenti devono quindi essere legate da una certa forza e respinte da una forza antagonista, in modo tale che le due forze si equivalgano e si annullino reciprocamente solo entro particolari distanze.

In termini ondulatori ciò significa che devono esistere degli effetti attrattivi, determinati da azioni conseguenti a violazioni del Principio di Simmetria Relativa, e degli effetti repulsivi, derivanti da altre differenti violazioni entrambe fortemente dipendenti dalla distanza.

 Il modello evolvente del protone è caratterizzato dalla lunghezza d’onda λp ed ha una dipendenza diretta dal valore dell’orbita di risonanza, che deriva dal raggio caratteristico del protone:

 r p = λ p / 2 π =  2,103089 . 10-16 metri.

Osserviamo che l’orbita di risonanza del protone. è il luogo d’origine della spirale Evolvente, e il fronte d’onda, che costruisce il fronte dell’Evolvente, si sviluppa a partire da una certa distanza dal centro, perlomeno uguale al raggio rp.

Riconsideriamo l’esperienza ideale in cui si descrive l’interazione elettromagnetica tra due Positoni, usando due Protoni che stanno a distanza paragonabili con

1 Fermi (1 . 10-15 metri).

Nella dimensione di un Deutone stanno a malapena i due raggi rp, delle orbite di risonanza dei due protoni. Non c’è lo spazio necessario perché esistano un numero sufficiente di superfici d’onda tra i centri, tali da far intervenire un’azione elettrica di repulsione fra le due particelle.

Quindi, non essendoci onde tra le due orbite, dovremmo poter contare solo sull’azione di tipo gravitazionale delle onde che stanno all’esterno del sistema, le quali imprimono una spinta dall’esterno verso l’interno ai due protoni.

L’azione attrattiva risultante sarà dunque di tipo gravitazionale?

Si dirà ovviamente che l’ipotesi di un’azione gravitazionale non risulta congruente con le ipotesi fatte finora, che danno per la forza nucleare valori estremamente alti, al punto da chiamarla “forza forte” e porla al vertice della scala delle interazioni.

Nei due casi illustrati della Figura 98. non vi sono superfici d’onda tra i centri dei due protoni, quindi non vi sono interazioni elettriche tra i due protoni ondulatori a distanze paragonabili con un Fermi, sia in concordanza che in opposizione di Spin.

Ma le valutazioni fatte sinora sul valore della forza nucleare
si basavano sull’ipotesi che le forze elettriche repulsive
dovevano per prime essere messe nel conto che ricavava
l’entità della forza nucleare.

E secondo tale ipotesi, prima di tutto, sarebbe stato necessario superare le forze repulsive elettriche prima di riuscire a tenere i due Protoni uniti. Per questa ragione veniva finora chiamata Forza Forte.

Ora però possiamo vedere, alla luce delle considerazioni ondulatorie, che il valore previsto per la forza nucleare era solo “presunto”.  Infatti il valore della forza nucleare considerato finora, deve essere riconosciuto come un’estrapolazione fondata su un’ipotesi. 

Tale valore estremo non corrisponde alla deduzione di una diretta osservazione, ma deriva dalla convinzione dei fisici che le forze elettriche repulsive, tra cariche di egual segno, esistano anche quando i portatori di carica si trovano a distanze paragonabili ad un Fermi.

In base alla Teoria Ondulatoria del Campo, che evidenzia l’inesistenza, o quantomeno, la carenza di onde primarie all’interno del sistema Deutone, è necessario ridimensionare il valore della forza nucleare. Sottraendo dal valore finora attribuitole il valore della forza elettrica repulsiva, che deve essere considerata pressoché inesistente alle distanze nucleari.

Per valutare l’entità della nuova forza nucleare, noi non dobbiamo sottovalutare la rilevanza dell’effetto di spinta che impongono ai due Protoni le onde esterne al sistema da essi formato.

Bisogna infatti considerare quanto questo valore possa essere incrementato dalla carenza di onde all’interno del sistema, nello spazio che si trova tra le orbite di risonanza delle due particelle.

Ora però per mantenere una logica dinamica al modello del Deutone, e a quello dell’interazione nucleare, dobbiamo ancora giustificare la natura dell’altra forza, quella repulsiva.

Questa dovrebbe mantenere l’equilibrio con la forza attrattiva, sia pur ridimensionata, ma che in assenza di una forza  repulsiva antagonista spingerebbe i due protoni inevitabilmente uno verso l’altro.

È necessario spiegare come due protoni possano convivere alle distanze nucleari, e inoltre non bisogna dimenticare che nella realtà della fisica nucleare il Deutone è “ritenuto” essere costituito da un Protone e da un Neutrone.

È possibile concepire un “modello ondulatorio del Neutrone” che fornisca risposte plausibili a questi quesiti? Diverse da quelle considerate finora ?

Sì, è possibile in un  modello  ondulatorio per il  Neutrone.

È facile affermare che l’atomo d’idrogeno è composto da protone ed elettrone, dato che è abbastanza agevole ionizzarlo, utilizzando campi elettrici di pochi Volt per dividerlo con evidenza dei suoi componenti.

Sembra invece alquanto meno agevole affermare che il neutrone è un microatomo di idrogeno, composto da un protone e un elettrone.

E invece dovrebbe esserlo, dato che nella realtà, senza nemmeno la necessità di applicare una qualsiasi energia di eccitazione, esso si scompone in protone ed elettrone entro pochi minuti dalla sua espulsione da un nucleo.

Perché invece “finora” è risultata così poco credibile l’ipotesi del microatomo ?

Perché nessuno finora è riuscito a creare un modello, o una teoria, capace di giustificare la nascita, la vita, e la morte del neutrone, in base all’ipotesi che esso sia il possibile risultato dell’unione del protone e dell’elettrone.

Persino Enrico Fermi con la sua teoria del Decadimento Beta non è andato molto più in là della descrizione di una fenomenologia del decadimento neutronico.

Egli però piantò ben salda nella Meccanica Quantistica una metodologia che si è andata perpetuando in seguito, per tutti i tipi di decadimento scoperti da allora fino ad oggi, ma che sembra non poter andare oltre la constatazione dei meri fatti di evidenza sperimentale.

Ora con la Teoria Ondulatoria del Campo abbiamo qualche possibilità in più di quante ne avesse allora a disposizione Fermi.

Così torniamo a riscoprire l’ipotesi del microatomo applicandogli una descrizione ondulatoria delle masse e delle cariche. Per fare questo siamo costretti in primo luogo a giustificare l’aumento di massa nell’unione delle due particelle: elettrone e protone.

Allo scopo, osserviamo nel solito esperimento ideale, un protone legato in un nucleo.

Ammettiamo che un fotone di adatta energia investa la sua struttura ondulatoria, venendo diviso in due parti, così che ciascuna parte venga diffratta per 360°, creando due orbite di risonanza e producendo una coppia Elettrone-Positone.

Ammettiamo che il Positone, respinto elettricamente dagli altri Protoni più lontani del nucleo, venga espulso dal nucleo. (Come in effetti si verifica comunemente nelle esperienze di laboratorio).

L’orbita di risonanza dell’elettrone è 1836 volte più grande di quella del protone. Quindi, la struttura ondulatoria ad Evolvente Sferica dell’elettrone “potrebbe contenere” agevolmente dentro di sé l’orbita di risonanza e la struttura ondulatoria del protone.

Essendo così grande potrebbe perfino contenere due protoni. La struttura ondulatoria dell’elettrone, ben più grande di quella del protone, potrebbe avvolgere quindi “due” protoni che si trovino occasionalmente vicini.

Si potrebbe dunque creare una struttura “trina” la cui carica risultante è quella di un protone, dato che la carica del secondo protone viene compensata dalla struttura ondulatoria dell’elettrone che li avvolge e li contiene entrambi.

Ammettiamo che questa associazione tra due protoni ed un elettrone possa esistere al di fuori del nucleo prima considerato, in un’esistenza autonoma ed autosufficiente.

La composizione delle tre entità ondulatorie potrebbe essere identificata con la struttura realmente esistente di un Deutone, se noi fossimo in grado di fornire una giustificazione dei diversi stati d’esistenza dell’organizzazione del Deutone.

Dato che finora non è stata mai riconosciuta l’esistenza dell’Elettrone nel Deutone, si diceva che il Deutone era composto da una particella neutra chiamata Neutrone e da un Protone positivo.

Certamente una tale conclusione era del tutto plausibile, dato che quando si sottoponeva il Deutone ad una fotodisintegrazione, facendolo interagire con un raggio Gamma di apposita energia, si ottenevano dopo la separazione due particelle distinte:

  • una con carica positiva, il Protone,
  • l’altra con una massa più grande e di carica elettrica nulla, il Neutrone.

Dal punto di vista ondulatorio della nuova struttura a tre componenti, sembra invece del tutto plausibile pensare che il fenomeno abbia tutt’altra struttura.

Durante la disintegrazione del deutone, nel momento in cui avviene la separazione dei due protoni, il fronte d’onda sull’orbita di risonanza che costruisce il campo dell’elettrone, può seguire “avvolgendolo” per diffrazione, uno qualsiasi dei due protoni.

Seguirà quello dei due che, in quel preciso momento, si trova nella posizione più adatta per assumere la paternità della sua diffrazione, e per costituire il centro della sua nuova orbita di risonanza.

Solo in quel preciso momento della disintegrazione del Deutone nasce il Neutrone, e quindi prima non esisteva nel nucleo una struttura indipendente che potremmo ancora chiamare Neutrone.

Una tale grave affermazione non è per niente gratuita, solo a condizione di fornire una giustificazione a tutti i misteri che ancora stanno intorno alla natura del Neutrone.

Così per chiarire il primo di questi misteri bisogna spiegare innanzitutto perché la massa del Neutrone è più grande della somma delle masse dei suoi costituenti.

E per capire questo dobbiamo osservare il modello ondulatorio del Deutone, considerando come l’orbita di risonanza dell’Elettrone possa venire condizionata dal campo ondulatorio, doppiamente sferico, dei due Protoni che si trovano al suo interno. 

L’orbita di risonanza del fronte d’onda dell’elettrone dovrebbe essere un ellisse ai cui fuochi si trovano i due protoni.

 Se i due protoni poi avessero un moto circolare attorno ad un comune centro di massa, si produrrebbe tra loro una forza centrifuga che si opporrebbe alla spinta esterna che li spinge l’uno verso l’altro, causata dalle onde esterne al sistema, in carenza di onde tra i centri.

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Figura 100. La struttura ondulatoria composita del Deutone potrebbe essere formata all’interno di una variazione dell’orbita di risonanza dell’elettrone che assume la forma di un “elissoide” per essere compatibile con l’esistenza dei due protoni che ruotano su un’orbita interna.   

La forza centrifuga dovrebbe essere la seconda forza che agisce nel nucleo, che si opporrebbe alla forza attrattiva nucleare “non troppo forte”, mantenendo in condizione d’equilibrio i due componenti massivi del deutone ad una precisa distanza, stabilita dal conflitto delle due forze.

Il fronte d’onda, creatore dell’evolvente dell’elettrone, percorrerebbe quindi l’ellisse dell’orbita di risonanza rincorrendo i due protoni in rotazione attorno al comune centro di massa, in modo tale che l’ellisse si troverebbe costretta ad una precessione. 

Noi sappiamo che il fronte d’onda circola sull’orbita di risonanza alla velocità della luce, mentre i due protoni ruotano intorno al loro centro di massa ad una velocità certo molto inferiore.

Il loro raggio di rotazione è  minore del raggio dell’orbita di risonanza dell’elettrone. Se la loro velocità fosse di un adatto valore, l’angolo di precessione totale dell’ellisse potrebbe essere di 240° per ogni giro?

Se così fosse avremmo come conseguenza una variazione ondulatoria risultante che possiamo chiamare “retrograda”, dell’onda proveniente dal sistema deutone.

Questa variazione avrebbe una precessione di 120° che ruoterebbe in senso contrario, sia alla rotazione del dipolo, che al senso di rotazione del fronte di risonanza, per ogni giro compiuto dal fronte d’onda.

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Figura 101. Evento di cattura dell’elettrone nella disintegrazione del deutone, e formazione strutturale del neutrone. Il fronte d’onda dell’elettrone segue il campo d’onde di uno dei due protoni che si sono separati.

Ora, se anche in questo caso finalmente ci decidessimo ad eliminare i verbi al condizionale, potremmo dire che: questa variazione d’onda retrograda produce un’onda che è una modulazione dell’onda portante (elementare) di risonanza dell’elettrone.

La nuova onda modulata ha tutte le proprietà che noi attribuiamo all’energia. Ma essendo un’energia prodotta con simmetria sferica attorno alla sorgente, noi la riconosciamo come una massa, che viene aggiunta alla somma delle masse del protone e dell’elettrone. Come tale infatti essa reagisce alle sollecitazioni ondulatorie del Principio di Simmetria Relativa, proprio come una qualsiasi massa.

Quest’onda modulata e retrograda è la madre dei neutrini.

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Figura 93. Si mostrano le proiezioni speculari delle strutture di particella e antiparticella. Dalle sue variazioni potremmo derivare la struttura di quei “cavatappi ondulatori” che si possono identificare con le varietà  connesse con le caratteristiche di elicità, specifiche dei, finora, fantomatici Neutrini.

Secondo la TOC, i neutrini sono degli speciali fotoni a cavatappi che hanno una struttura ondulatoria con variazioni, molto simile alle due metà speculari di una Evolvente Sferica, di cui in seguito vedremo la funzione nei decadimenti delle particelle.

Questa somma di strutture ondulatorie è dunque la massa complessa che noi sperimentiamo globalmente, come massa caratteristica del deutone. 

Dalla sua disintegrazione possiamo derivare la struttura del Neutrone prima del suo decadimento.

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Figura 102. Modello ondulatorio del neutrone.

Quando i due protoni vengono costretti a separarsi, per esempio per effetto di una fotodisintegrazione, la variazione risultante retrograda, avvolge uno qualsiasi dei due protoni, e permane per un certo periodo invariata.

Così il suo contributo di massa va ad incrementare la somma delle masse dell’elettrone e del protone associati, per produrre la massa caratteristica del neutrone.

Ma ormai si è persa la ragione per la permanenza dell’onda retrograda, non ci sono più due sorgenti d’onda all’interno dell’orbita di risonanza dell’elettrone, che perciò non ha più una ragione per essere ellittica. Dopo un certo numero di giri in precessione, l’orbita di risonanza dell’elettrone ritorna al suo valore caratteristico:

 2 π re =  λ e .

Si perde l’effetto rotante retrogrado e si produce la separazione tra i costituenti del neutrone, provocando quella serie di fenomeni che conosciamo come Decadimento Beta.

Possiamo ora descrivere un modello ondulatorio coerente del neutrone che giustifica la possibilità della sua nascita, della sua esistenza, della sua massa e del suo decadimento?